informazione nel melanoma

a cura di Lorenza Di Guardo e Enrica Tanda

 

Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a vere e proprie rivoluzioni in ambito oncologico. Nessuna tuttavia, è pari a quella a cui stiamo assistendo nell’ambito della gestione del melanoma metastatico.

Un tempo considerato uno dei tumori più letali, con uno strettissimo margine di gestione terapeutica basata esclusivamente sulla chemioterapia, ad oggi è diventato paradigma di una nuova idea di oncologia, un esempio di integrazione terapeutica che permette di sfruttare multiple strategie con approccio sequenziale o concomitante, al fine di ottenere i migliori risultati possibili in termini di aspettativa e qualità di vita dei nostri pazienti.

Prima dell’avvento delle nuove terapie (immunoterapia con anti-PD-1 e anti-CTLA-4, terapie target in monoterapia prima e in combinazione poi), l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da melanoma metastatico era di circa 6 mesi, con un 25% di pazienti vivi a un anno dalla diagnosi. A gravare moltissimo su questo dato, la presenza di metastasi encefaliche. L’incidenza di metastasi encefaliche nei pazienti affetti da melanoma è di circa il 20% alla diagnosi e, orientativamente, il 50% dei pazienti affetti da melanoma in stadio IV sviluppano metastasi cerebrali nel corso della loro vita. La sopravvivenza mediana dei pazienti con metastasi encefaliche era di 2.2-4.7 mesi dall’insorgenza delle localizzazioni encefaliche.

Dopo il 2010 questo quadro è drasticamente cambiato e oggi, fortunatamente, il trattamento dei pazienti con metastasi encefaliche è diventato un processo terapeutico complesso e in costante divenire, che integra terapie loco regionali con terapie sistemiche.

I trattamenti locoregionali di cui disponiamo al momento sono:

- la neurochirurgia

- la radiochirurgia o radioterapia stereotassica (stereotactic radiosurgery, SRS)

- la radioterapia panencefalica (whole brain radiosurgery, WBRT)

La neurochirurgia ha rappresentato il trattamento standard dei pazienti con metastasi encefaliche resecabili, in assenza di malattia viscerale. Questo approccio è attualmente poco utilizzato nel paziente con malattia avanzata, specie in assenza di un trattamento farmacologico sottostante. La presenza stessa di una lesione encefalica, infatti, sottintende la disseminazione microscopica della malattia, inoltre non ci sono dati sull’impatto di una chirurgia maggiore su questi pazienti. Attualmente la neurochirurgia viene considerata per lesioni che, per dimensioni, sanguinamento attivo o sede, mettono a repentaglio nell’immediato la vita del paziente o che generano una sintomatologia debilitante.

La radiochirurgia è una procedura meno invasiva della chirurgia e comporta tassi inferiori di complicanze, a fronte di un controllo locale della malattia che si assesta tra il 63 e il 75% a 1 anno. La radioterapia stereotassica può dare benefici sostanziali soprattutto nei pazienti con metastasi encefaliche inferiori ai 3 cm di diametro e un numero limitato di lesioni (1-4). Più lesioni possono essere trattate in una medesima seduta, e il trattamento può essere ripetuto in pazienti che sviluppano nuove localizzazioni encefaliche in successivamente al trattamento.

La radioterapia panencefalica è stata considerata come adiuvante in pazienti che subivano una chirurgia o una SRS, ma questo utilizzo è piuttosto controverso e nella pratica clinica non viene utilizzato di routine. Nei pazienti con malattia disseminata a livello encefalico, la radioterapia panencefalica può, invece, essere una valida opzione.

Nel paziente con metastasi encefalica singola, i parametri di valutazione su cui si basa la scelta del trattamento, sono la dimensione della lesione e l’effetto massa.

Per lesioni piccole che producono poco effetto massa, l’indicazione è più frequentemente la SRS. Per lesioni più grandi e/o che producono un maggiore effetto massa, la discriminante diventa la resecabilità: se la lesione non è resecabile, si procede con le strategie radianti; se la lesione è resecabile in toto o in parte, è proponibile una chirurgia seguita da un BOOST, una SRS sul residuo di malattia e/o una RT panencefalica.

Nel paziente con metastasi encefaliche multiple (> 4) il trattamento convenzionale è rappresentato dalla radioterapia panencefalica e, in caso di progressione della malattia, dalla SRS sulle nuove lesioni attive o una seconda RT panencefalica parziale.

Ad oggi tuttavia, il trattamento loco regionale deve necessariamente essere inteso come parte di una strategia che non può prescindere dal trattamento sistemico. Recenti dati indicano infatti come le terapie sistemiche ad oggi disponibili, possano migliorare gli outcome di questi pazienti.

Lo studio Nibit M1, che ha valutato l’ipilimumab combinato con la fotemustina (un farmaco chemioterapico) ha mostrato un controllo di malattia del 50% e una sopravvivenza globale del 54.2% a 1 anno  nei pazienti affetti da metastasi encefaliche.  Restiamo in attesa dei dati dello studio successivo, il NIBIT M2, destinato a questo specifico setting di pazienti.

Dati estremamente interessanti stanno arrivando da alcuni studi come il COMBI MB, che ha valutato l’uso della combinazione dabrafenib-trametinib in pazienti con localizzazioni cerebrali, in prima o in seconda linea dopo immunoterapia. Ne pazienti con mutazione di BRAFV600, che ricevevano la combinazione target in prima linea, il controllo di malattia locale è stato del 78%. Questi risultati sono stati confermati anche nei pazienti trattati in seconda linea.

Relativamente alla combinazione immuno (Nivolumab + Ipilimumab), lo studio CheckMate 204 ha dimostrato la grande efficacia di questa combinazione farmacologica in questo sottogruppo di pazienti, con un beneficio clinico del 60%. Le risposte si sono mostrate finora durature, con un tasso di risposte ongoing del 93% dopo un minimo di 6 mesi dall’inizio del trattamento.

Al pari del CM204, un ulteriore studio ha confrontato la combinazione ipilimumab + nivolumab e il nivolumab in monoterapia nei pazienti con metastasi encefaliche asintomatiche e non pretrattate, e il nivolumab in monoterapia nel subsetting di pazienti sintomatici o pretrattati o con localizzazioni meningee. Il tasso di risposta intracranica è stato significativamente superiore per i pazienti sottoposti alla combinazione immuno (42%) rispetto alla monoterapia con nivolumab, nonostante questa si sia dimostrata particolarmente valida nei pazienti più fragili (25%).  In conclusione, anche questo studio sostiene la superiorità della combinazione nei pazienti con diagnosi di metastasi encefaliche da melanoma, e suggerisce come questa strategia terapeutica potrebbe essere considerata come la prima scelta n questo sottogruppo di pazienti.

Questioni aperte rimangono: i pazienti sintomatici che richiedono trattamento steroideo e come integrare il trattamento radiante in questo nuovo panorama.

Gli steroidi diventano infatti necessari nel momento in cui i pazienti cominciano a presentare sintomi dovuti alle localizzazioni encefaliche. Queste infatti di frequente generano edema circostante e conseguenti sintomi determinati dalla loro specifica posizione all’interno dell’encefalo: alterazioni del sensorio, crisi epilettiche, alterazioni del controllo volontario dei muscoli, altro.

E se da una parte, non ci sono controindicazioni all’utilizzo di steroidi in maniera concomitante alle terapie target, dall’altra si ritiene che affinchè l’immunoterapia agisca efficacemente la terapia steroidea non dovrebbe superare i 10 mg di prednisone giornalieri. Tuttavia non sempre questo è possibile senza che i pazienti tornino sintomatici.

In conclusione, la gestione del paziente con metastasi cerebrali ad oggi si presenta come una gestione complessa, condivisa tra oncologo e radioterapista, e che prevede l’utilizzo di numerose strategie più o meno integrate, l’attenta combinazione farmacologica e le corrette e puntuali terapie di supporto.  Solo in questo modo possiamo garantire ai nostri pazienti i migliori outcome in termini di aspettativa di vita, nel rispetto della qualità della stessa.

 

Terapia sistemica per i pazienti con metastasi cerebrali

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