A cura di Francesco Spagnolo e Marco Palla
La più moderna classificazione genomica del melanoma deriva dal lavoro del The Cancer Genome Atlas Network [1], che ha classificato il melanoma cutaneo in 4 sottotipi basandosi sui geni più frequentemente mutati: 1. BRAF; 2. RAS; 3. NF1; 4. Triple-WT (assenza di mutazioni dei geni BRAF, RAS e NF1; mutazioni e amplificazioni di KIT rappresentano una delle caratteristiche di quest’ultimo sottotipo). Non si sono riscontrate associazioni tra sottotipo molecolare e prognosi, mentre i casi che manifestavano un profilo di attivazione immunologica, indipendentemente dal genoma, erano associati a migliore sopravvivenza, suggerendo l’importante ruolo prognostico dell’immunobiologia del microambiente tumorale e offrendo spunti per nuove strategie per la personalizzazione delle terapie [1].
Il melanoma cutaneo è tra i tumori con il più alto carico mutazionale; la maggior parte delle sue mutazioni sono causate dalle radiazioni ultraviolette (UV) e consistono in transizioni C>T [2]; i melanomi che non sono portatori di mutazioni causate dai raggi UV sono infrequenti sulla cute, ma rappresentano la stragrande maggior parte di quelli che originano dagli occhi, dalle mucose e dai siti acrali (palmo della mano o pianta del piede). Il melanoma che origina dalle mucose ed il melanoma acrale hanno un pattern molecolare diverso da quello del melanoma cutaneo, con un carico mutazionale nettamente inferiore [2].
Mutazioni di BRAF
Frequenza delle mutazioni di BRAF. Il sottotipo molecolare più numeroso è quello definito dalla presenza di mutazioni di BRAF, presenti in circa il 50% dei melanomi cutanei [1]. La mutazione più frequente di BRAF è la V600E (circa 85% dei casi), seguita dalla V600K (circa il 10%) e V600R (2%), ed è anti-correlata con mutazioni di NRAS [1].
Associazione tra mutazione di BRAF e caratteristiche clinico-patologiche. Esiste una relazione inversa tra presenza di una mutazione di BRAF ed età. In una casistica di più di 300 pazienti, tutti i soggetti sotto i 30 anni di età aveva una mutazione di BRAF, contro solo il 25% di coloro che avevano più di 70 anni [3]. Più del 90% dei melanomi con mutazioni di BRAF esibiscono un pattern di mutazioni dovuto in gran parte ai raggi UV, in maniera simile ai melanomi con mutazioni di NRAS e NF1, mentre solo il 30% dei campioni Triple-WT aveva una signature indotta dai raggi UV [1]. In una casistica di 50 melanomi primitivi di soggetti adolescenti e giovani adulti (tra i 15 e i 30 anni), la frequenza di mutazioni somatiche di BRAF era del 90%, e conteneva una percentuale più alta di pattern mutazionali non associati ai raggi UV [4].
In uno studio su più di 300 pazienti, si è osservato che la mutazione di BRAF V600E era particolarmente frequente nei soggetti che avevano fatto uso di lettini abbronzanti, in particolare in coloro che avevano iniziato a utilizzarli prima dei 25 anni. I dati di questo studio suggeriscono che i lettini abbronzanti potrebbero favorire l’insorgenza di melanomi su cute non cronicamente esposta al sole tramite una patogenesi mediata dalla mutazione di BRAF V600E [5]. In una meta-analisi di 45 studi, la mutazione di BRAF è risultata associata ad una età più giovane (OR= 1.734), ad una localizzazione sul tronco (OR= 2.272) ed in cute non cronicamente danneggiata dal sole (OR= 2.833), al sottotipo istologico a diffusione superficiale (OR= 2.081), mentre non si è osservata alcuna associazione con l’ulcerazione del melanoma primitivo [6].
Differenze clinico-patologiche tra mutazione di BRAF V600E e V600K. Tra i pazienti con mutazione di BRAF, la frequenza di mutazioni non-V600E aumenta con l’aumentare dell’età, costituendo più del 40% dei casi in soggetti con più di 70 anni contro meno del 20% nei più giovani di 50 anni [3]. Rispetto alla mutazione BRAF V600E, la presenza di una mutazione V600K è associata ad età più avanzata, sesso maschile e localizzazione del tumore primitivo nel distretto cervico-facciale [7], oltre ad un più alto grado di danno cronico indotto dai raggi UV ed un più alto carico mutazionale [3]. L’intervallo libero di malattia tra la diagnosi del melanoma primitivo e la diagnosi della prima localizzazione metastatica è più corto per i pazienti portatori della mutazione di BRAF V600K rispetto alla V600E (17.4 vs. 39.2 mesi), mentre, una volta in stadio IV, il suo ruolo prognostico è controverso, con alcune casistiche in cui non si sono osservate differenze in sopravvivenza globale (OS) [3], ed altre in cui invece il genotipo V600K era associato ad una più breve sopravvivenza [7].
Ruolo prognostico di BRAF nel melanoma in stadio I e II. Il ruolo prognostico di BRAF nel melanoma localizzato è controverso. In uno studio osservazionale retrospettivo su 147 pazienti con melanoma in stadio I e II, i pazienti con mutazione di BRAF avevano una DFS inferiore rispetto ai wild-type (HR= 2.2, 95% CI 1.1-4.3), anche dopo correzione dei dati per spessore di Breslow, ulcerazione del primitivo ed altri biomarcatori prognostici importanti [8]. In uno studio di popolazione con follow-up mediano di 7.6 anni su più di 900 soggetti con melanoma primitivo, non si sono riscontrate differenze significative in termini di sopravvivenza in base alla presenza di una mutazione di BRAF dopo correzione per stadio AJCC ed altri biomarcatori prognostici. Tuttavia, quando l’analisi veniva ristretta al gruppo di pazienti a più alto rischio (dal pT2b al pT4b), la mutazione di BRAF risultava associata ad un maggior rischio di morte per melanoma (HR 3.1; 95% CI 1.2–8.5) [9].
Concordanza tra mutazioni di BRAF nel primitivo e metastasi. In uno dei primi studi che ha valutato la concordanza tra stato mutazionale del melanoma primitivo e relative metastasi, si è osservata un’alta concordanza per le metastasi linfonodali (93%) e viscerali (96%), mentre i risultati erano meno consistenti per l’encefalo (80%) e le metastasi cutanee (75%), suggerendo che in alcuni pazienti potrebbero essere generati cloni indipendenti [10]. Anche utilizzando un approccio basato sul next-generation sequencing, si è osservata una buona concordanza tra melanoma cutaneo primitivo e metastasi in termini di frequenza di mutazione di BRAF (95%) e NRAS (86%), e di mutazioni patogenetiche globali (76%) [11]. In particolare, si è confermata una bassa eterogeneità genetica tra melanoma primitivo e linfonodi [12].
Implicazioni terapeutiche e terapia medica del melanoma avanzato con mutazione di BRAF. L’individuazione di BRAF V600 come bersaglio terapeutico è stata una scoperta chiave per il trattamento moderno del melanoma, e nei pazienti con melanoma BRAF-mutato gli inibitori di BRAF in combinazione con inibitori di MEK rappresentano un trattamento standard [13]. In una pooled analysis di due studi randomizzati di fase 3, i risultati a lungo termine dimostrano che il trattamento con inibitori di BRAF+MEK ottiene una sopravvivenza globale (OS) a 5 anni del 34% ed una sopravvivenza libera da malattia (PFS) a 5 anni del 19% [14]. Il trattamento con inibitori di BRAF+MEK sembra avere un’attività clinica leggermente inferiore nei pazienti con mutazioni V600K rispetto alla V600E, come osservato in alcune pooled analysis [15, 16], probabilmente a causa di una minor dipendenza dall’attivazione di ERK in caso di mutazioni V600K ed una maggiore attivazione di pathway alternativi, in particolare quello di PI3K [17]. Al contrario, i melanomi con mutazione di BRAF V600K hanno un maggiore carico mutazionale e potrebbero rispondere meglio all’immunoterapia [17].
Gli inibitori di BRAF e MEK sono un trattamento standard nei pazienti con mutazioni di BRAF V600E/K. Tuttavia, i dati di efficacia in pazienti con mutazioni rare di BRAF sono limitati. In una casistica di 103 pazienti con mutazioni rare di BRAF V600 e mutazioni non-V600 si è osservato che i risultati della terapia con inibitori di BRAF in monoterapia sono scarsi, mentre il trattamento di combinazione conservava una attività clinica significativa [18].
Oltre ad un ruolo come biomarcatore predittivo di risposta alle terapie con inibitori di BRAF+MEK, la presenza della mutazione di BRAF potrebbe anche avere un ruolo prognostico nel melanoma in stadio IV, anche se in termini prognostici i risultati degli studi sono controversi. In uno studio, la mutazione di BRAF è risultata associata ad un maggior rischio di metastasi cerebrali, ma non si è osservata alcuna differenza in OS [19].
Mutazioni di NRAS
Frequenza delle mutazioni di NRAS. Le mutazioni del gene NRAS sono riscontrate nel 20-30% dei melanomi, e generalmente sono mutualmente esclusive con BRAF V600E, che coesiste solo nell’1% dei casi. La mutazione è associata con l’attivazione del pathway delle MAP-chinasi. Le mutazioni NRAS più frequenti sono localizzate sull’esone 1 (codone 12) ed esone 2 (codone 61), con conseguente attivazione dello stato GPT attivato del recettore tirosin-chinasi. La maggior parte delle mutazioni di NRAS sono caratterizzate da sostituzioni di glutammina con arginina/lisina/leucina in posizione 61 (Q61 R/K/L) [1]. In contrasto con le mutazioni di BRAF, che sono più frequenti in caso di esposizione solare intermittente, e le mutazioni di KIT, che si verificano prevalentemente in melanomi della mucosa e acrale, le mutazioni di NRAS si verificano sostanzialmente a tasso costante di circa il 15-20% in tutti i siti non uveali di melanoma, compresa la pelle esposta al sole e non esposta al sole, mucosa e siti acrali.
Ruolo prognostico di NRAS nel melanoma in stadio I e II. In maniera simile a BRAF, non si è osservata nessuna significativa differenza in termini di sopravvivenza specifica per melanoma in pazienti con mutazione di NRAS rispetto al melanoma wild-type, ma è stata osservata una differenza significativa nella solo per tumori ad alto rischio (stadio T2b o più elevato). Non si è osservata alcuna differenza per i tumori a basso rischio (T2a o inferiore) [9].
Implicazioni terapeutiche e terapia medica del melanoma avanzato con mutazione di NRAS. Ad oggi, non sono disponibili farmaci bersaglio nei confronti di NRAS. Segni preliminari di attività antitumorale con l’inibitore di MEK binimetinib sono stati riportati in uno studio di fase 1 in pazienti con tumori solidi avanzati, incluso il melanoma [20]. Sulla base di questi dati, l'attività di binimetinib è stata quindi valutata in modo più ampio studio di fase 2 per pazienti con mutazione NRAS o BRAF V600 [2]. Dei 71 pazienti che sono stati trattati con binimetinib 45 mg, 30 pazienti avevano melanoma con mutazione NRAS e 6 (20%) hanno ottenuto una risposta parziale. Nel gruppo di pazienti con mutazione di NRAS, la percentuale di controllo di malattia è stata del 63% con una PFS mediana di 3.7 mesi.
Nello studio successivo di fase 3 NEMO sono stati arruolati 402 pazienti con mutazioni di NRAS (Gln61Arg, Gln61Lys o Gln61Leu), non trattati o in progressione da immunoterapia, che sono stati randomizzati 2:1 per ricevere binimetinib o dacarbazina. La PFS, endpoint primario dello studio, era significativamente più lunga nel gruppo con binimetinib rispetto alla dacarbazina (2.8 vs. 1.5 mesi); tuttavia, nonostante anche un tasso di risposta migliore (15% vs. 7%), non si sono riscontrare differenze significative in termini di OS (11.0 vs. 10.1 mesi) nei pazienti trattati con l’inibitore di MEK [21]. In una analisi per sottogruppi, l’effetto sulla PFS di binimetinib rispetto alla dacarbazina sembrava più robusto nei pazienti che avevano ricevuto un'immunoterapia precedente [21]. Altri inibitori di MEK (trametinib, selumetinib, pimasertib) sono stati valutati in pazienti con mutazione di NRAS, con risultati subottimali in termini di attività clinica [22, 23]. Sebbene lo studio di fase 3 NEMO abbia mostrato la superiorità di binimetinib rispetto alla dacarbazina nel melanoma con mutazioni di NRAS, l'entità del beneficio era piccola e non clinicamente rilevante per la maggior parte dei pazienti [21]. Attualmente, binimetinib può avere solo a ruolo nel trattamento off-label del melanoma con mutazione NRAS dopo il fallimento dei trattamenti immunoterapici convenzionali. Tuttavia, poiché nel melanoma con mutazione di NRAS sono attivate più vie di segnalazione cellulare, per migliorare l’efficacia sarà necessario sperimentare combinazioni di inibitori MEK con altri inibitori molecolari e/o immunoterapia. In particolare, due pathway di grande interesse sono quello CDK4-Rb e PI3K-AKTmTOR, poiché tali percorsi interagiscono in più punti con RAS-RAF-ERK, con conseguente attivazione o inibizione crociata, e convergenza dei pathway.
Mutazioni di KIT
Frequenza delle mutazioni di KIT. KIT è un recettore tirosin-chinasi che gioca un ruolo nello sviluppo melanocitario attivando effettori a valle attraverso la pathway MAPK e AKT e favorendo la proliferazione, differenziazione e sopravvivenza cellulare. L’incidenza delle mutazioni KIT è circa il 3% dei melanomi; tuttavia, la frequenza di mutazioni di KIT è più alta nei melanomi mucosali, acrali, e in sedi cutanee cronicamente danneggiate dal sole. Le alterazioni del gene KIT includono amplificazione e mutazioni, ma solo alcune mutazioni sembrano essere predittive di beneficio clinico con gli inibitori di KIT. Le mutazioni coinvolgono soprattutto gli esoni 9, 11, 13, 17 e 18, ma solo quelle localizzate sull’esone 11 e 13 sembrano associate con l’attività degli inibitori di KIT (imatinib) [24–26].
Implicazioni terapeutiche e terapia medica del melanoma avanzato con mutazione di KIT. Carvajal et al. in uno studio di fase 2 su 295 pazienti con melanoma hanno identificato un totale di 51 casi con alterazioni di KIT e 28 di questi pazienti sono stati trattati. Tra i 25 pazienti valutabili sono state osservate due risposte complete e 4 risposte parziali, per un tasso di risposta durevole complessivo pari al 16%, un tempo mediano alla progressione di 12 settimane ed una OS mediana di 46.3 settimane. Il tasso di risposta era migliore nei casi con mutazioni che interessavano hotspot ricorrenti o con un rapporto allelico mutante-WT di più di 1 (40% vs. 0%) [24]. Guo et al. hanno riportato i dati di 43 pazienti con melanoma metastatico KIT-mutato arruolati in uno studio di fase II, in cui è stato somministrato trattamento con imatinib 400 mg/die o, in alcuni casi selezionati in progressione di malattia, ad un dosaggio di 800mg/die. La PFS mediana è stata pari a 3.5 mesi, con una PFS a 6 mesi del 36.6%. Il tasso di controllo totale della malattia è stato del 53.5%: 10 pazienti (23.3%) e 13 pazienti (30.2%) hanno ottenuto una risposta parziale e stabilizzazione di malattia, rispettivamente. Diciotto pazienti in totale (41.9%) hanno ottenuto la regressione della massa tumorale. In particolare, nove delle 10 risposte parziali sono state osservate in pazienti con mutazioni negli esoni 11 o 13. Il tasso di sopravvivenza globale a 1 anno era del 51.0%. In un terzo studio di fase 2 con imatinib, 25 pazienti con melanoma metastatico della mucosa, acrale o cronicamente danneggiato dal sole con amplificazioni e/o mutazioni di KIT hanno ricevuto imatinib 400 mg una volta al giorno o 400 mg due volte al giorno se non vi era una risposta iniziale. Anche in questo studio si è confermato che l’attività clinica di imatinib riguarda principalmente i casi con mutazioni di KIT, mentre nelle amplificazioni non si sono osservate risposte [26]. Infine, un altro inibitore di KIT (nilotinib) ha mostrato attività nei melanomi avanzati KIT mutati con un tasso di risposte pari al 26.2% (il 91% delle quali in presenza di mutazioni dell’esone 11) e una PFS mediana di 4.2 mesi [28].
In conclusione, ad oggi è raccomandato testare le mutazioni KIT (soprattutto su esone 11 e 13) nei melanomi acrali, mucosali e di origine sconosciuta, oltre a quelli cutanei insorti su cute cronicamente danneggiata, per offrire un’opzione terapeutica in più con imatinib off-label dopo il fallimento delle terapie standard.
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