Trattamento medico del melanoma cutaneo
Per terapia medica dei tumori si intende un trattamento che utilizza farmaci, che hanno il compito di agire direttamente sulle cellule tumorali determinando un danno nei processi di replicazione e proliferazione fino all’induzione di necrosi/apoptosi o di stimolare le difese immunitarie specifiche, agendo anche sul microambiente tumorale. Negli ultimi anni, i notevoli progressi in campo biomolecolare hanno portato all'individuazione da un lato di specifiche mutazioni a livello di geni della cellula di melanoma, coinvolti nei pathways di regolazione della crescita e proliferazione cellulare (in particolare a livello della via delle MAP-kinasi, specificamente a carico di BRAF) dall’altro all'individuazione di “bersagli” anche a livello immunologico costituiti da sinapsi con differenti attività sia immuno-stimolanti sia inibitorie. L'introduzione in ambito terapeutico dei nuovi farmaci (sia i cosiddetti “check-points inhibitors” sia le terapie target a bersaglio molecolare) hanno determinato un radicale cambiamento nella gestione di tali pazienti con un rilevante miglioramento della sopravvivenza.
La terapia medica nel melanoma può trovare impiego in pazienti privi di malattia in atto (“disease-free”) ma ad alto rischio di recidiva (cosiddetta terapia adiuvante), oppure in pazienti con metastasi in atto (a livello cutaneo, sottocutaneo, linfonodale o viscerale) non asportabili chirurgicamente o non trattabili con le terapie loco-regionali (perfusione ipertermica antiblastica o elettrochemioterapia per localizzazioni cutanee).
Terapia adiuvante
La terapia adiuvante può essere considerata dopo asportazione di metastasi linfonodali loco-regionali (stadio III) o in pazienti privi di metastasi linfonodali regionali ma con melanoma di spessore elevato (stadio IIB-IIC); le indicazioni al trattamento adiuvante dovranno essere valutate non solo in base alla stadiazione del melanoma ma anche considerando l’età del paziente (inferiore a 70 anni), le sue condizioni cliniche ed eventuali comorbidità. Il primo farmaco per cui è stata documentata una potenziale efficacia nel trattamento adiuvante del melanoma è l’interferone-alfa. L'interferone è una proteina che l'organismo produce normalmente per proteggersi dalle infezioni. Questa capacità viene utilizzata nell'immunoterapia poiché l'interferone agisce stimolando le difese immunitarie ad opporsi allo sviluppo di eventuali cellule di melanoma presenti nell’organismo. Sono stati sperimentati differenti dosaggi di interferone, e sebbene una serie di studi abbia dimostrato un significativo beneficio correlato all’impiego di interferone ad alte dosi, finora non è stato raggiunto un pieno accordo su quali siano le dosi e le modalità di somministrazione più efficaci. Alcuni studi recenti hanno evidenziato come l’efficacia del trattamento dipenda soprattutto dalla durata, che non dovrebbe essere inferiore a 12-18 mesi. I dati emersi dalle metanalisi documentano globalmente indipendentemente dal dosaggio e durata, un beneficio associato all’interferone del 18% di riduzione relativa sul relapse-free survival e 11% su overall survival. La presenza di basso carico di malattia a livello linfondoale, e di ulcerazione del primitivo a livello istologico, costituiscono fattori predittivi per una maggiore efficacia del trattamento.
Sono stati condotti inoltre studi randomizzati che hanno valutato l’attività in un setting adiuvante dei nuovi farmaci efficaci nella malattia metastatica (sia check-point inhibitors quali ipilimumab e anti-PD1, sia target therapies a bersaglio molecolare anche in protocolli combinati anti-BRAF e anti-MEK). Tra gli studi di cui abbiamo i risultati, il trial randomizzato di fase III EORTC 18071 ha evidenziato un beneficio in termini sia di relapse-free survival sia di overall survival di ipilimumab alla dose di 10 mg/kg con mantenimento rispetto a placebo, dati in base ai quali tale schema è stato approvato dallaFood and Drug Administration (FDA). Tuttavia, i risultati dello studio ECOG 1609 (randomizzato a tre bracci, ipilimumab a 10 mg/kg vs ipilimumab a 3 mg/kg vs interferone alte dosi) hanno finora documentato una sovrapponibilità delle curve di relapse-free survival per le due differenti dosi di ipilimumab.
Studi clinici più recenti hanno inoltre confrontato il trattamento adiuvante con ipilimumab a nivolumab (CheckMate 238) o pembrolizumab a placebo (KEYNOTE 054) per definire il ruolo degli anticorpi anti-PD-1 in questo setting; i risultati sono attesi nei mesi prossimi.
Terapia medica del melanoma metastatico in fase avanzata
Negli ultimi anni, l'approccio terapeutico al paziente affetto da melanoma metastatico è radicalmente cambiato grazie all’identificazione di farmaci in grado di riconoscere selettivamente specifici “target” espressi dalla cellula di melanoma, quali molecole che giocano un ruolo chiave nei meccanismi di controllo della risposta immunitaria o mutazioni a livello di pathways coinvolte nel processo di proliferazione o metastatizzazione.
In particolare, negli ultimi 3 – 4 anni sono stati approvati per l’uso clinico, farmaci a bersaglio molecolare , quali inibitori di BRAF (vemurafenib e dabrafenib) e inibitori di MEK (quali trametinib e cobimetinib) ma anche farmaci a bersaglio immunologico (quali anticoporpo anti-CTLA4, ipilimumab o anti-PD1: nivolumab e pembrolizumab), sulla base dei risultati di studi registrativi che, per la prima volta nel melanoma metastatico, hanno dimostrato un significativo incremento del tasso di risposta ed in particolare della sopravvivenza , rispetto alla chemioterapia standard rappresentata dalla dacarbazina.
Il primo farmaco inibitore di BRAF che ha mostrato un significativo impatto sul la sopravvivenza di pazienti affetti da melanoma metastatico è stato il vemurafenib, seguito poi dal dabrafenib. Tali farmaci sono risultati associati ad una percentuale di risposte intorno al 50% e ad una notevole rapidità nell'induzione della risposta, con una mediana di poco superiore ad 1 mese. Tuttavia, la sopravvivenza libera da progessione è stata di circa 6-7 mesi e legata a meccanismi di “escape” dalla inibizione di BRAF, nella maggior parte dei casi conseguenti ad una attivazione della pathway delle MAPkinasi a valle di BRAF. Pertanto, l’associazione di un farmaco inibitore di MEK ha dimostrato, in tre studi randomizzati, una maggiore efficacia clinica rispetto alla sola monoterapia sia in termini di risposte obbiettive (fino al 68% per la “combo target”), che di progression-free survival e overall survival, con una mediana di sopravvivenza superiore a 24 mesi. Inoltre, la combinazione target presenta anche un profilo di tossicità significativamente migliore rispetto alla monoterapia con solo inibitore di BRAF, poiché la tossicità cutanea indotta dalla monoterapia, caratterizzata da una vasta gamma di lesioni cutanee (dalla ipercheratosi plantare, ai papillomi cutanei, a eruzioni a tipo cheratosi-pilare, nonchè al cheratoacantoma e al carcinoma spinocellulare). e indotta dall'attivazione paradossa della cascata delle MAP-kinasi conseguente al trattamento, in cellule che non presentano la mutazione di BRAF, è significativamente ridotta dalla combinazione con inibitori di MEK.
Accanto alla combinazione target l’immunoterapia, basata sull’impiego di anticorpi immunomodulanti, ha decisamente cambiato lo scenario terapeutico del melanoma, in particolare Ipilimumab, anticorpo monoclonale umano diretto contro CTLA-4, molecola di superficie delle cellule T helper che svolge un ruolo inibitorio nella regolazione della risposta immunitaria naturale, ha dimostrato di indurre una risposta immunitaria attiva contro le cellule tumorali e di migliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti da melanoma metastatico. Il peculiare meccanismo d’azione di quello che è considerato il capostipite di questa nuova classe di agenti immunoterapici rende ragione, da un lato delle cinetiche di risposta non convenzionali, tipiche dell’immunoterapia, che in alcuni casi si manifestano anche dopo iniziale progressione di malattia, dall’altro del profilo di tossicità caratterizzato da una nuova sindrome di eventi immuno-mediati (rash cutaneo, diarrea, epatite, ipofisite). Tuttavia se con il solo Ipilimumab è possibile ottenere un beneficio clinico duraturo in circa il 20% dei pazienti, certamente l’utilizzo più recente di anticorpi, quali, Nivolumab e pembrolizumab diretti contro l’asse PD-1/PDL-1 ha consentito di aumentare significativamente la percentuale di pazienti lungo-sopravviventi. Inoltre agendo in una fase differente dell’attivazione della risposta immunitaria, rispetto a CTLA-4 questo gruppo di farmaci sono in grado di risposte più rapide e con un miglior profilo di tollerabilità. I dati degli studi randomizzati hanno evidenziato una superiorità di tali farmaci rispetto alla chemioterapia ed inoltre lo studio KEYNOTE006 ha evidenziato un beneficio dell’anticorpo anti-PD1, pembrolizumab, rispetto a ipilimumab. La superiorità degli anticorpi anti-PD1 rispetto a ipilimumab è confermata sotto tutti gli aspetti, a partire dal tempo di induzione della risposta (fino a 2,1 mesi per anti-PD1 versus 3,2 mesi per ipilimumab), percentuali di risposta (40% versus 15% rispettivamente), progression-free survival (mediana 6,9 versus 2,76) e sopravvivenza anche a lungo termine (a 3 anni: 42% versus 22%). Anche in termini di tollearabilità, la percentuale di eventi avversi grado 3-4 è stata nettamente inferiore per gli anticorpi anti-PD-1(11-14%) rispetto a ipilimumab.
Anche nell’ambito dell’immunoterapia la strategia di combinazione basata sull’utilizzo di due anticorpi immunomodulanti, anti-CTLA-4 e anti-PD1, ha dimostrato una superiore efficacia rispetto alla monoterapia , in particolare ad ipilimumab. I dati recentemente riportati dello studio Checkmate 067 evidenziano infatti per l’associazione di ipilimumab e nivolumab una percentuale di risposte obbiettive del 58.9% ed una sopravvivenza del 64% a 2 anni, tuttavia con una significativa incidenza di eventi immuno-mediati (58,5% grado 3-4).
Attualmente, seppure le strategie terapeutiche di terapia target e immunoterapia abbiamo dimostrato di migliorare significativamente la sopravvivenza di pazienti affetti da melanoma metastatico, sono attesi i dati di studi clinici in corso che definiscano la migliore sequenza di trattamento. Certamente parametri clinici e biologici possono guidare nella definizione della migliore strategia terapeutica: in particolare lo stato mutazione (BRAF), performance status, presenza di metastasi cerebrali, carico tumorale e pattern di progressione (lento o rapido). In presenza di un pattern di BRAF wild-type la prima linea sarà costituita da immunoterapia (anti-PD1 in prima linea, ipilimumab per pazienti relapsed), invece in presenza di mutazione BRAF potranno essere considerate le due opzioni (immunoterapia o terapia target a bersaglio molecolare) come prima linea. La rapidità di azione delle terapie target a bersaglio molecolare consigliano tale trattamento in pazienti con performance status compromesso, rapidità di progressione, metastasi in sedi critiche e sintomatiche che necessitino una risposta rapida; per entrambe le tipologie di trattamento, tuttavia, i valori elevati di LDH costituiscono un fattore prognostico sfavorevole. Pertanto se gli studi clinici ongoing definiranno nel prossimo futuro la migliore sequenza terapeutica, l’arruolamento in trial clinico rimane ad oggi in prima linea una strategia terapeutica importante da proporre come prima azione.
Per pazienti con mutazione di cKit, che rappresentano una percentuale di pazienti limitata ed affetti, da melanoma mucosale è possibile considerare un trattamento con gli inibitori specifici imatinib o dasatinib tuttavia solo dopo il fallimento delle precedenti linee di immunoterapia in quanto i risultati clinici degli studi con inibitori di cKit non sono così favorevoli come quelli degli inibitori di BRAF. Allo stesso modo, per pazienti con mutazione NRAS, è stato recentemente portato a termine uno studio randomizzato (NEMO) che confrontava dacarbazina con un inibitore di MEK e sebbene lo studio abbia raggiunto la significatività statistica, la differenza tra i due bracci è modesta pertanto i risultati sono difficilmente da considerare clinicamente significativi.
Infine, numerosi studi clinici stanno testando attualmente combinazioni di terapia target e immunoterapia, ma anche combinazioni con nuovi agenti terapeutici al fine di migliorare l’efficacia, già importante delle strategie terapeutiche oggi disponibili, e di aumentare significativamente la sopravvivenza di una quota sempre maggiore di pazienti affetti da melanoma in differenti setting clinici.