Melanoma in pregnancy: certainties unborn

Tra tutti i tumori diagnosticati durante la gravidanza, il melanoma rappresenta la neoplasia maligna più frequente (31%): tutte le modificazioni delle lesioni melanocitarie che insorgono durante la gravidanza non devono essere sottovalutate.

Notoriamente, la gravidanza si accompagna a una maggiore attività melanocitaria, che si traduce in fenomeni di iperpigmentazione: melasma, linea nigra, scurimento di areole e aree genitali. In questa condizione, è stato ipotizzato che lesioni melanocitarie benigne possano trasformarsi (sebbene le evidenze a supporto siano insufficienti per affermarlo con certezza) mentre qualche dato, anche se limitato, lo si trova a sostegno della trasformazione di lesioni melanocitarie nelle pazienti con sindrome del nevo displastico. Questi fenomeni sembrano essere tutti correlati a un aumento dei livelli di estrogeni, progesterone, ormone melanocito-stimolante e beta endorfine.

È definito “melanoma associato alla gravidanza (PAM)” un melanoma diagnosticato durante la gravidanza o fino a un anno dopo il parto.In passato, si riteneva che la prognosi di questi melanomi fosse peggiore rispetto a quella dei comuni melanomi cutanei; questo concetto è stato recentemente messo in discussione con uno studio su larga scala che non ha trovato differenze significative in termini di OS, PFS e melanoma-specific survival. Al contrario, due metanalisi hanno riscontrato una differenza fino al 17% in termini di mortalità tra le pazienti con diagnosi di PAM e di melanoma cutaneo insorto al di fuori della gravidanza.

Numerosi meccanismi potrebbero spiegare questo andamento più aggressivo: lo specifico status ormonale e immunologico, l’aumento della linfoangiogenesi, la presenza di fattori di crescita placentari, gonadotropine corioniche umane, relaxina e molti altri fattori circolanti. Dalla fase dell’impianto, tutte queste sostanze sono coinvolte nell’immunotolleranza nei confronti del feto enella formazione della placenta che, a sua volta, richiede neoangiogenesie invasione tissutale: tutti meccanismi che riconosciamo nello sviluppo del melanoma e del cancro in generale. È possibile dunque che nelle prime fasi della gravidanza i PAM crescano, evadendo dalla risposta immunitaria, traendo vantaggio dall’ambiente ormonale e immunologico favorevole. Un’altra ipotesi che spieghi la possibile maggiore aggressività di queste neoplasie, riguarda l’intensa linfoangiogenesi tipica del periodo gestazionale, che può a sua volta favorire la disseminazione metastatica. Oltre a quanto detto, è infine necessario sottolineare come il ritardo diagnostico e il management terapeutico limitato di queste neoplasie abbia un ruolo determinante.

Se viene sospettato un melanoma in gravidanza, soprattutto se il sospetto è evidenziato dalla valutazione dermoscopica integrato all’esame clinico, la biopsia escissionale può essere eseguita in maniera sicura a prescindere dal periodo della gestazione. La procedura dovrebbe essere eseguita in anestesia locale eseguita con lidocaina. Se la chirurgia è fattibile in anestesia locale dunque, non ci sono ragioni di rimandare questo step terapeutico. 

Ulteriori procedure stadiative come la biopsia del linfonodo sentinella o l’imaging, e la terapia sistemica sono attualmente oggetto di dibattito. Come regola generale, viene suggerito un approccio multidisciplinare che comprenda un approfondito consulto con la paziente e la convergenza di questi casi in centri altamente specializzati.

La biopsia del linfonodo sentinella è considerata tecnicamente sicura dopo il primo trimestre, utilizzando tecnezio 99m ed effettuando l’intervento in anestesia locale. Solo nella fase finale del terzo trimestre, dovrebbe essere preferenzialmente rimandata dopo il parto.

Per la stadiazione si suggerisce di basarsi su ecografie e RX del torace. L’uso del gadolinio dovrebbe essere limitato alle circostanze in cui sia realmente necessario, mentre altri mezzi di contrastoparamagnetico dovrebbero essere evitati. Recenti evidenze stanno inoltre dimostrando come altre tecniche che utilizzano tecnezio 99m siano accettabili, ma il mezzo di contrasto iodato dovrebbe essere evitato se non strettamente necessario.

Dal punto di vista terapeutico, le terapie standard (immunoterapia e terapie target) non trovano indicazione fino al momento del parto: l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere tenuta in considerazione nel primo e nel secondo trimestre, specie nei casi avanzati, nell’ottica di dare alla paziente maggiori possibilità terapeutiche. 

Dalle evidenze riportate in letteratura, dabrafenib risulta francamente teratogeno e danneggia lo sviluppo fetale mentre vemurafenib, in studi animali, si è dimostrato capace di attraversare la placenta ma senza una chiara azione teratogena. Allo stesso modo, anche l’immunoterapia è un approccio terapeutico discusso e il suo utilizzo nelle pazienti gravide può scatenare eventi avversi immunocorrelati, causare malformazioni e alterazioni endocrinologiche nel nascituro (es ipotiroidismo congenito). Tuttavia, risultati incoraggianti sono stati ottenuti con ipilimumab e addirittura con la combinazione ipilimumab + nivolumab.

Altre terapie come imatinib, dacarbazina, interferone, ciclofosfamideetc sono controindicate.

Relativamente alla salute del bambino possiamo invece evidenziare che:

  • Nessuna associazione è stata riscontrata tra i PAM e il parto prematuro o la necessità di un taglio cesareo; al contrario, è stata individuata un’associazione tra i PAM e una maggiore taglia del feto.
  • Il melanoma rappresenta il 30% delle metastasi placentari e il 58% delle metastasi fetali.
  • È estremamente importante analizzare accuratamente la placenta. In caso di placenta negativa per localizzazioni, è ragionevole escludere la presenza di metastasi fetali;in caso di placenta positiva e feto negativo (22%) è necessario stadiare il bambino con RX torace, esame dermatologico ed ETG addome e controllarlo come paziente ad alto rischio per 2 anni; la presenza di metastasi placentari e fetali è una circostanza rara e merita una trattazione a parte.

 

https://www.futuremedicine.com/doi/10.2217/mmt-2020-0007